Le nuove fattispecie di pericolosità sociale introdotte con il D.L. 92/2008 non possono applicarsi retroattivamente
15 Ottobre 2024 | slide
La Corte di Appello di Catania ha annullato il provvedimento di confisca nei confronti di soggetto ritenuto pericoloso in ragione della condanna per il reato di intestazione fittizia di beni per fati consumati nel 2006, ritenendo così senza “base legale” l’applicazione della misura ai sensi dell’art. 4 lett. b) del Codice Antimafia
di Lucrezia Lauria
Con il decreto nr. 4/2023 IEP, emesso a seguito all’esito della camera di consiglio dell’11 luglio 2024, la seconda sezione penale della Corte di Appello di Catania scrive una nuova pagina della travagliata storia della confisca di prevenzione, aprendo così un diverso orizzonte del controverso strumento ablativo italiano destinato a cambiarne la storia.
Nei confronti di soggetto, condannato per il reato di cui all’art. 512 bis del codice penale (con esclusione dell’aggravante di cui all’art. 7 della L. 203/91), e, contestualmente, assolto dal reato di partecipazione all’associazione mafiosa, il Tribunale di Caltanissetta, presieduto dal dr. Antonio Balsamo, nel 2014, dispose la confisca di tutto il patrimonio del proposto e dei suoi familiari, ritenendosi che a fronte dell’accertata pericolosità qualificata questi non aveva giustificato la lecita provenienza dei beni. La confisca fu confermata dalla Corte di Appello, con motivazione che evocava “unicamente il concetto di pericolosità sociale ascrivibile al proposto, stante l’inserimento nella categoria di cui all’art. 4 lett. B) in ragione della ritenuta colpevolezza per il reato di intestazione fittizia di beni”; provvedimento che divenne irrevocabile nel 2016.
Nel 2023, i nuovi difensori avvocati Baldassare Lauria (direttore dell’Osservatorio) e Laura Ancona con altra richiesta di revocazione, proposta ai sensi del secondo comma dell’art. 28 CAM, hanno denunciato il difetto di legalità ab origine del provvedimento ablativo, quindi la violazione degli artt. 7 della CEDU e 25 della Costituzione.
Così, con il decreto depositato lo scorso 19 agosto 2024, la Corte di Appello, in accoglimento della nuova istanza di giustizia ha revocato totalmente il provvedimento di confisca, ordinando la restituzione di tutti cespiti patrimoniali intestati al proposto o ai suoi familiari, ritenuti al medesimo riconduciibili.
Al di là degli aspetti pratici, la decisione della Corte siciliana, in contrapposizione all’orientamento giurisprudenziale pressoché totalitario, sembra anticipare un “nuovo corso” del sistema di prevenzione patrimoniale. In sintesi, secondo la Corte di appello:
1) la disposta confisca presenta un vizio “endemico”, per difetto della base legale di applicazione, essendovi stata una errata individuazione dei requisiti richiesti per il provvedimento ablativo, in aperta violazione dell’art. 7 della CEDU e 25 della Carta Costituzionale.
2) quanto al giudicato penale assolutorio dal reato di cui all’art. 416 bis, la Corte di Appello – richiamando la nota sentenza Gattuso – rileva che, pur avendo tale decisione dato contezza “dei rapporti connotati da reciproca convenienza evantaggio economico tali da poter essere ritenuti lesivi dei beni giuridici in rilevanza costituzionale”, l’appartenenza a un’associazione mafiosa non può essere confusa con una mera collateralità (il giudice penale, nella sentenza di assoluzione, aveva accertato la inesistenza di contributi causali ai fini dell’integrazione del reato associativo).
3) l’unica condanna riportata dal proposto riguarda il reato di intestazione fittizia di beni commesso nel 2006, in allora punito ai sensi dell’art. 12 quinquies del D.L. 306/92 e oggi sussunto nell’art. 512 bis. Correttamente, viene evidenziato che tale condotta illecita, all’epoca dei fatti considerati, non poteva configurare alcuna fattispecie astratta di pericolosità, atteso che tale reato è stato introdotto nell’art. 4 lett. b del D.Lgs. 159/11 soltanto con il Decreto Legge n. 92/2008, che aveva inserito i reati compresi nell’art. 51 bis del codice tra quelli per cui erano applicabili le misure di prevenzione.
4) la conseguenza è che il decreto di confisca si basava su una categoria criminologica non rilevante, all’epoca dei fatti, per la prevenzione. Ragion per cui la confisca è priva di pertinente base legale con la conseguente revocabilità delprovvedimento di confisca per vizio c.d. “endemico”.
Secondo i Giudici siciliani, per la revoca del provvedimento ritenuto illegale, non deve nemmeno farsi ricorso al principio di retroattività delle norme, stante l’estraneità del sistema di prevenzione rispetto alla materia penale “che riguarda soltanto la disciplina della misura e non già il presupposto di essa e cioè l’esistenza a monte di una specifica legge configurante la fattispecie della pericolosità sociale”. La base legale, ed è questo l’ulteriore passo in avanti che viene evidenziato nel provvedimento in commento, non è strettamente connessa al tema della retroattività. Richiamando, poi, il consolidato orientamento ermeneutico, la Corte puntualizza che la descrizione della categoria criminologica di cui agli artt. 1 e 4 del D.Lgs. 159/11 “ha il medesimovalore che nel sistema penale è assegnato alla norma incriminatrice, esprime cioè la previa selezione e connotazione con fonte primaria dei parametri fattuali rilevanti rappresentati da una condotta specifica (ipotesi di indizi di commissione di un particolare reato – pericolosità qualificata) ovvero un fascio di condotte (pericolosità generica)”.
Quanto ai presupposti richiesti dall’art. 28 del CAM, la Corte precisa che il difetto originario dei presupposti può essere dedotto senza limiti di tempo e la domanda può essere riproposta anche quando una prima richiesta sia stata respinta.
Si tratta, come detto, di una pronuncia innovativa nel panorama giurisprudenziale italiano che probabilmente anticipa la prossima decisione della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo nel noto caso CAVALLOTTI v/ ITALIA (Application no. 29614/2016) per il quale i giudici di Strasburgo hanno recentemente “chiesto” al Governo Italiano chiarimenti in ordine alla compatibilità del provvedimento di confisca con il principio di legalità ex art. 7 Cedu (Taking into account the characterisation of the contested measure under the domestic law and case-law (compare, inter alia, Court of Cassation, judgments no. 18 of 3 July 1996, no. 57 of 8 January 2006, no. 39204 of 17 May 2013 and no. 4880 of 2 February 2015; contra, judgment no. 14044 of 25 March 2013; see also, inter alia, Consti- tutional Court, judgment nos. 21 of 9 February 2012, and no. 24 of 24 February 2019), its nature and purpose, the pro- cedures involved in its making and implementation and its severity, did the confiscation of the applicants’ assets pur- suant to Article 24 of Decree no. 159 of 2011 amount to a criminal “penalty” of “punishment” within the meaning of Article 7 § 1 the Convention (compare Arcuri v. Italy (dec.), no. 52024/99, § 2, ECHR 2001-VII, Capitani and Campa- nella v. Italy, no. 24920/07, § 37, 17May 2011, Gogitidze and Others v. Georgia, no. 36862/05, § 121, 12 May 2015, and, mutatis mutandis, Balsamo v. San Marino, nos. 20319/17 and 21414/17, § 58 et seq., 8 October 2019, and G.I.E.M. S.R.L. and Others v. Italy [GC], nos. 1828/06 and 2 others, §§ 214 et seq., 28 June 2018? If so, has there been a violation of Article 7 of the Convention on account of the ordering of the confiscation notwith- standing the acquittal of the first group of applicants of the charge of participation in a mafia-type criminal organisation (see G.I.E.M. S.R.L. and Others, cited above, § 251)?
Quello della compatibilità del sistema della confisca di prevenzione con il principio di legalità è una questione che il dibattito accademico e la giurisprudenza ha, pur con un certo disagio intellettuale, marginalizzato sull’altare della lotta alla criminalità mafiosa. Eppure, già con la sentenza 177/1980, la Corte Costituzionale affermava il principio secondo cui “l’applicazione della misura, ancorchè legata, nella maggioranza dei casi, ad un giudizio prognostico, trovi il presupposto necessario in “fattispecie di pericolosità”, previste-descritte dalla legge”; per cui l’accento cade sul sufficiente o insufficiente grado di determinatezza della descrizione legislativa di tali fattispecie (destinate a costituire il parametro dell’accertamento del giudice), descrizione che “permetta di individuare la o le condotte dal cui accerta- mento nel caso concreto possa fon- datamente dedursi un giudizio prognostico, per ciò stesso rivolto all’avvenire”. E proprio la “sedimentazio- ne” nel tempo di tale principio ha condotto la stessa Corte Costituzionale con la sentenza 24/2019 ad affermare “Pur non avendo natura penale, sequestro e confisca di prevenzione restano peraltro misure che incidono pesantemente sui diritti di proprietà e di iniziativa economica, tutelati a livello costituzionale (artt. 41 e 42 Cost.) e convenzionale (art. 1 Prot. addiz. CEDU).
Tornando al caso Padovani, la decisione della Corte siciliana riporta il sistema nel contesto dei principi costituzionali ribadendo che la descrizione della categoria criminologica ha il medesimo valore che in ambito penale è assegnato alla norma incriminatrice, con la conseguenza che deve essere conoscibile e conosciuta dal cittadino la condotta la cui violazione comporta la conseguente applicabilità di una misura (evidente il parallelo con il precetto e la sanzione). La base legale, come conseguenza del principio di irretroattività delle norme più sfavorevoli, comporta che la pericolosità sociale non può essere desunta sulla scorta di condotte illecite, non inserite all’epoca della loro commissione nel codice antimafia.